VALORI ETICI E CULTURALI ALLA BASE DELLA SCELTA CREMAZIONISTA
(LUCIANO SCAGLIARINI)
Saluto gli intervenuti, le autorità e particolarmente l’On. Michele Vianello, ViceSindaco di Venezia e i rappresentanti delle Istituzioni e della stampa, che hanno voluto partecipare a questo avvenimento.
Sono lieto di portare a tutti i presenti il saluto delle Associazioni di volontariato cremazionista europeo che si riconoscono nella “Union Crematiste Europeenne”, con sede a Bruxelles, che ho l’onore di rappresentare in questa importante occasione.
Ringrazio, a nome loro, la storica Società per la cremazione di Venezia (fondata nel 1882) per la realizzazione di questo nuovo impianto che oggi viene inaugurato.
La solida e tradizionale collaborazione tra la SOCREM di Venezia (società di volontariato ed ONLUS) è sempre stata, fin dalla sua fondazione solida e proficua nell’interesse e al servizio della comunità veneziana.
Questo nuovo impianto, che risponde alle esigenze di tutti i cittadini di Venezia e non dei soli Soci di questa Associazione, ne è la ulteriore conferma.
Sono stato invitato per rammentare a noi e a tutti i presenti i principi etici del Rito della cremazione. Mi appresto dunque a questo gradito compito!
La cremazione è una civilissima e antichissima pratica, in uso presso popoli di varie culture.
Presso tutte le civiltà e in tutti i tempi ha sempre avuto il fine di onorare il defunto, di rispettarne la dignità e di dare conforto ai parenti.
La cura è il culto dei defunti hanno costituito, fin dagli albori dell’umanità, uno dei più evidenti segni del processo di coscientizzazione e di civilizzazione del genere umano.
Noi cremazionisti italiani ci siamo posti il compito di diffondere questa pratica anche perché risparmia al corpo il processo degenerativo, biologico, lento, crudele ed inesorabile della decomposizione ed evita ai parenti l’orrenda immagine di essa.
Fin dall’antichità la cremazione era intesa come simbolo di purificazione, di liberazione dello spirito e di immortalità dell’anima.
Esiste, anche nella cultura occidentale, un simbolismo del fuoco, al quale – forse inconsapevolmente – si fa riferimento quando si sceglie la cremazione.
L’idea che il fuoco sia la via privilegiata per ascendere al mondo degli dei è presente nella cultura occidentale precristiana sin dalle origini.
Negli oracoli caldaici la divinità suprema veniva teorizzata come un fuoco che si trovava nei cieli e riversava il suo soffio sugli esseri umani attraverso canali di fuoco.
Nel Vangelo (Matteo III.11) è riportato che Giovanni Battista dice: “io vi battezzo con l’acqua ma Colui che viene dopo di me vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco.”
Nella visione ebraica e protocristiana la natura del fuoco era quella del sacro: Dio si manifesta con segni di fuoco (rovi ardenti, pioggia di fuoco, fiammelle della Pentecoste, ecc…)
La Bibbia racconta che il Profeta Elia è salito al cielo in un carro di fuoco.
Negli atti di Santa Cristina, il fuoco è presentato come una forma di battesimo che consacra e introduce al cielo. E’ l’epifania del sacro per eccellenza.
S. Agostino dice “ardescimus ed imus”, cioè ci incendiamo e saliamo verso il cielo.
Per San Francesco il fuoco è creatura fra le creature.
Nel cristianesimo non ci sono argomenti di fede che contrastano con la cremazione.
I primi cristiani venivano inumati o cremati, secondo le usanze delle diverse comunità.
Nel Tempio Crematorio di Torino si trova un’urna cineraria cristiana dell’epoca romana.
La Chiesa non fu mai contraria alla cremazione per motivi di fede, poiché nulla ha predicato il Cristo circa la destinazione del corpo.
Il corpo di Cristo fu posto in un sepolcro scavato nella roccia, unto con oli e balsami che dovevano impedirne o rallentare il disfacimento (Matteo 27, 59-60 - Marco 15,46 - Luca 24,1-3 – Giovanni 19,40-42:20,1)
Onoranza non comune, riservata ai ricchi e che non poteva certo essere assunta a regola, perché non applicabile a tutti, specie ai più umili che costituivano il gruppo originario del cristianesimo.
Non risponde dunque al vero l’affermazione recente dell’Arcivescovo di Trento Mons. Luigi Bressan, cioè che “il Signore era stato sepolto nella terra”.
Dal 1963 la Chiesa Cattolica (Concilio Vaticano II- Papa Paolo VI) consente liberamente la pratica della cremazione.
La cremazione è dunque la glorificazione nel fuoco della nostra corporeità, è la sua sublimazione.
La cremazione simbolizza una forma di ritorno, alla natura madre, dell’elemento corporeo.
La cremazione va intesa come un processo naturale per purificare e glorificare nel fuoco le spoglie dello scomparso con tutto lo splendore e il rispetto per la sua dignità: un atto che implica una tensione morale.
Il volontariato cremazionista di oggi ha rilanciato, nella attuale società post-moderna, i valori ereditati da quelle élites politiche e professionali che, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, diedero vita alle prime Società di Cremazione, per lo più tutt’ora attive.
Quelle classi dirigenti di allora seppero essere più lungimiranti, più avanzate rispetto al senso comune del loro tempo.
Nell’Ottocento il scegliere la cremazione fu un atto di totale consapevolezza, la testimonianza di una identità fortemente segnata da valori culturali e civili, in netta rottura con i tempi di allora.
Ora, che sono cambiate le dimensioni quantitative della scelta cremazionista, questi valori- in passato espressi da una esigua minoranza- sono sempre più diffusi, anche grazie all’opera svolta dall’attuale volontariato cremazionista, che oggi trova un terreno culturale e sociale più ricettivo e più fertile.
Noi cremazionisti siamo stati i primi a riconoscere il diritto di ogni uomo di scegliere la destinazione del proprio corpo, di pianificare il proprio funerale, in accordo con la propria visione della vita e della morte.
In questa scelta vi è il rifiuto di considerare la morte come un semplice adempimento burocratico da lasciare ad “altri”.
Chi sceglie la cremazione afferma implicitamente l’autonomia dell’individuo nei confronti della “istituzionalizzazione” della morte, poiché considera che la morte è un fatto privato e non pubblico.
Il non delegare, assumere la decisione di scegliere personalmente, dà a ciascuno di noi una maggior coscienza, una intima consapevolezza e una più vigile attenzione verso la propria esistenza, presupposto per un miglior apprezzamento della vita e delle cose realmente importanti che ci offre.
La cremazione non si sceglie sbadatamente, comporta una riflessione e una decisione autonoma, propria di chi si è liberato dal tabù della morte.
Soffermarsi sul problema della morte significa aprire gli occhi sulla realtà della vita. Montaigne, noto autore del 1500, precursore del laicismo come oggi viene inteso, fa questa riflessione:” E incerto dove la morte ci attende, aspettiamola dovunque. La meditazione della morte ha disimparato a servire. Il saper morire ci libera da ogni soggezione e da ogni legame”. (Saggi I.XX).
Il significato del messaggio di Montaigne, di sorprendente attualità, è questo: acquisire la consapevolezza della propria morte rende l’uomo interiormente libero. Questa consapevolezza gli toglie ogni motivo di soggezione verso la morte e lo libera da molti vincoli convenzionali verso gli altri. Egli vive la vita con più realismo e anche con più sicurezza in se stesso, perché diventa padrone della propria vita e non è più succube della paura della morte.
In chi sceglie la destinazione delle proprie spoglie, la morte è pensata come evento accolto con naturalezza, senza drammaticità.
La riflessione e la ricerca intellettuale sono parte integrante del bagaglio etico di chi vuol dare un senso compiuto ai grandi temi della vita e della morte, di chi cerca di capirla la morte e non semplicemente subirla tra ansie e paure.
Non sappiamo perché viviamo: non conosciamo il paradigma della nostra esistenza e della nostra morte: dobbiamo dare noi un significato alla nostra vita e alla nostra morte.
L’idea dell’aldilà è soggettiva.
Si vive senza sapere con esattezza cosa si vuole da noi. Il capire il “perché” della vita, a che scopo viviamo, forse fa parte del destino dell’uomo ma non ancora dell’uomo di oggi.
Cesare Pavese, che ha sempre avuto un rapporto particolare con la morte, così parla di questo importante evento, forse il più importante nella vita di un uomo: “O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla”.
La morte non si comprende ma l’unica cosa che possiamo capire della morte di un nostro caro è la necessità di non dimenticarlo e di continuare ad amarlo.
Questa riflessione esistenziale è uno dei principi etici su cui si basa la cremazione.
Chi sceglie la cremazione è in contrapposizione al servile attaccamento di troppi uomini di fronte ad una vita vissuta nella mediocrità, senza slanci e senza grandi pulsioni, in pratica intesa come semplice sopravvivenza.
Pavese direbbe di questa umanità: “Vive come vive una pietra”.
Persone di provenienza culturale, religiosa e ideologica molto diversa si stanno orientando sempre più verso la scelta cremazionista.
Questa scelta, da parte di persone che hanno riferimenti culturali differenti, è un denominatore comune legato all’etica umanistica che esige il rispetto dell’altro.
Sotto questo aspetto la cremazione è una scuola di tolleranza e di pluralismo, che ha una funzione molto positiva nella società civile.
La pratica cremazionista che, dà al corpo degli scomparsi una nuova e incorruttibile forma, emerge anche dal bisogno che tutti noi abbiamo di mantenere viva la comunione con i defunti.
Le ceneri dei nostri cari, nelle quali è racchiuso l’inestinguibile ideale soffio di vita, costituiscono infatti ancora – in forma immutabile- una loro presenza fisica tra noi.
Con l’affermazione della cremazione ne deriva anche una positiva modifica al costume: nel rito funebre (cioè nelle onoranze esteriori rese al defunto) non devono più essere importanti il lusso, lo sfarzo, l’apparire, il lustro e il censo!
E’ ovviamente un problema di trasformazione culturale e di maturazione sociale, della quale la pratica cremazionista ne ha gran parte del merito!
Noi cremazionisti della Federazione Italiana di cremazione, ci siamo posti il compito di diffondere questa pratica e nel contempo di ridare significato a questo antico rito funebre.
Sul piano culturale molto lavoro resta da compiere, per diffondere l’idea che la morte è un evento che fa parte della vita, che è segno di consapevolezza e profondità di pensiero riflettere su di essa, e con essa trovare una conciliazione e che è necessario dare pieno riconoscimento al lutto, al dolore e alla sua elaborazione che ne deve seguire. Il Rito del Commiato va appunto in questa direzione.
La morte non la conosciamo personalmente ma solo quella degli altri: è un addio, un passaggio (l’ultimo). L’umanità ha bisogno dei riti di passaggio.
Il passaggio dalla vita alla morte, in tutte le civiltà, è sempre stato segnato da uno specifico rito.
La nostra cultura, la nostra civiltà è basata sul culto dei morti!
Tutto ciò che ha fatto un uomo nella sua vita, nel bene e nel male, non va perduto.
Personalizzare l’addio ad un defunto è una pietra angolare del progresso civile.
Senza un rito funebre, laico o religioso, abdichiamo al diritto di chiamarci umani!
Il rito funebre è un diritto del defunto e di chi gli sopravvive.
Per questo motivo la FIC ha ottenuto che nella legge 130 del 30 marzo 2001, nella quale è stata pienamente legittimata l’idea cremazionista, fosse inserito l’obbligo di predisporre “sale attigue ai crematori per consentire il rispetto dei riti di commemorazione del defunto e un dignitoso commiato”.
La cremazione è l’unica pratica funeraria nella quale è prevista – per legge- la possibilità di un commiato, anche se questa Cerimonia non è ancora praticata in tutti i Crematori.
La cremazione per assumere tutta la sua valenza etica deve essere accompagnata da un rito. In buona parte dei Paesi d’Europa, il “rito del commiato” è una realtà ormai consolidata.
In una cremazione senza il rito del Commiato, il defunto viene trattato come un animale di casa: il nostro cane o il nostro gatto, come un uccello che per un certo tempo si è affacciato sul davanzale della nostra vita e poi se ne va e dopo un po’ di tempo più nessuno se ne ricorda.
Anche in Italia la scelta della cremazione – proprio grazie al volontariato cremazionista- si è progressivamente arricchita di una forte valenza simbolica e rituale. Credenti e non credenti auspicano che al momento dell’ultimo addio, il distacco dai loro cari sia accompagnato da gesti e parole che lo rendano meno doloroso.
Una delle novità più significative – rispetto alle tradizioni Ottocentesche dei pionieri del cremazionismo- è stata l’istituzione di un “Rito del Commiato”.
olore che nasce intorno al defunto si raccoglie in una cerimonia del Commiato, in cui musica, brani di poesia e di altre letture, i cenni di addio, le parole degli amici, concorrono a formare un rito che è unico, rivolto direttamente ed esclusivamente alla persona alla quale si dice addio per sePer iniziativa di diverse SOCREM italiane, la comunità del dmpre.
Il rito del Commiato nei crematori non eccede e non è in contrapposizione alla Cerimonia religiosa: è un’altra cosa.
Il nostro rito del Commiato, ha anche lo scopo di dare un senso alla morte, per aiutare coloro che sopravvivono a trovare un significato a questa loro triste esperienza e alla vita che continua, accompagnandoli nel difficile cammino della elaborazione del lutto.
Senza questo accompagnamento rituale, la cremazione diventerebbe soltanto un processo tecnologico totalmente disumanizzato.
Noi cremazionisti continueremo comunque a batterci per ottenere ovunque una maggior attenzione a questa ritualità funebre, sottraendola alla tradizionale indifferenza delle Istituzioni.
In una società civile postmoderna c’è in fatti un forte rischio di anonimato, la tentazione di sbrigare in fretta e senza complicazioni anche il discorso della morte, appiattendolo su una delle molte pratiche che affollano la nostra quotidianità.
Il rifiuto di parlare di morte spinge ad evitare i luoghi della memoria (i cimiteri) e a sfuggire alla elaborazione del lutto. Non si può sopprimere il pensiero della morte senza, di conseguenza, sopprimere il pensiero del morto.
Il Rito del Commiato è la presentazione dell’identità del defunto ma anche un istante di raccoglimento e di riflessione strappato al tempo trafelato di questa nostra società contemporanea.
In talune zone italiane la cremazione si sta purtroppo affermando, con grave e forse irrimediabile vizio d’origine, perché priva del rito del Commiato, assumendo una configurazione asettica ed impietosa ed il silenzio dei quegli attimi del distacco diventa insopportabile.
I crematori devono invece diventare ovunque luoghi della serenità ritrovata.
Nel contempo occorre fare in modo che le dimore dei morti, specie quelle in cui vengono conservate le ceneri per il culto della memoria, non siano più luoghi di afflizione e di sconforto ma siano ambienti dignitosi e sereni, ricchi di vita e di memoria, appunto.
Questo sarà possibile se i luoghi dei morti, oggi sovente desolati e abbandonati, diventeranno anche luoghi di riflessione, che consentano spazio al personale ultimo combattimento con la tragedia.
Luoghi nei quali sia consentito ai vivi di elaborare il lutto, riconciliandosi con esso e favorire il dialogo con lo scomparso.
Attenuando la distanza tra morti e vivi se ne favorisce il dialogo: le rispettive dimore restano separate, ma “dalle finestre ci si saluta”.
Da tempo il volontariato cremazionista si è fatto portatore di questo messaggio di serenità nei crematori e nei cimiteri, messaggio che vogliamo riaffermare pubblicamente in questa specifica circostanza.
Spero con questo mio intervento, di aver tratteggiato sufficientemente i valori etici e umanitari che sono alla base della cremazione.
Attualmente al Nord Italia la cremazione riguarda mediamente il 25% dei decessi, con punte del 40% a Torino e a Genova e del 50% a Milano e a Bolzano.
Quella che alla fine dell’Ottocento era il segno distintivo di una esigua minoranza, è già diventata, in alcune parti d’Italia, una scelta maggioritaria.
Questo impone, alle Istituzioni e in particolare a noi responsabili del volontariato cremazionista, una forte riflessione culturale.
Noi, che abbiamo scelto di mettere la servizio degli altri la nostra coscienza individuale e le nostre convinzioni morali, dobbiamo diventare sempre più operatori culturali per contribuire alla positiva trasformazione ed elevazione della società.
La società civile deve giungere alla scelta cremazionista soprattutto per i valori che essa sottende e non solo per motivi puramente ecologici e di sanità pubblica o solo perché la cremazione può risolvere i problemi cimiteriali.
Noi cremazionisti continueremo a batterci per raggiungere questo obiettivo, per questa rivoluzione culturale, ruolo che abbiamo volontariamente scelto e che intendiamo svolgere con tutta la passione e con tutta la dedizione di cui siamo capaci.